Che direste di una famiglia che, tra i suoi membri, può vantare un santo e un cardinale citato dal Manzoni? Che, tra i suoi possedimenti, conta un paio di isole, qualche scoglio e una quindicina di ville, castelli e palazzi sparsi lungo la penisola?
Il prestigio della famiglia Borromeo va ben oltre il comune concetto di nobiltà. Si lega a un passato glorioso che dalla Toscana ha avvolto il Nord Italia come sotto un giogo di conoscenza, potere e ricchezza. E quell’incorruttibile velo di splendore antico si poggia con delicata mano su giardini dal morbido manto, su coste frastagliate e su fiumi argentei, su vetrate luminose e su mura solide.
Non c’è miglior modo, per trascorrere un giorno di festa, che immergersi, con ardente curiosità, in luoghi dove l’armonia naturale si sposa con la ricchezza della storia. La mattina di Pasqua è, per chi scrive, una piacevole occasione per rimettersi in viaggio, pur senza quel senso d’avventura che lo aveva accompagnato dall’altra parte del mondo.
La destinazione prestabilita è la cittadina di Stresa, un piccolo centro di 5.000 anime, situato sulla sponda piemontese del Lago Maggiore. Qui, dove l’Ossola, il Verbano e il Cusio si uniscono in un solo grande distretto amministrativo, sorge questa perla dall’innegabile vocazione turistica.
Benché non intenda dilungarmi eccessivamente su quello che, in fin dei conti, sarà solo il punto di partenza del mio itinerario, ammetto di essere colpito da ciò che trovo mettendo piede sulla strada a fianco del lungolago pedonabile.
Alzando il capo verso l’alto, si apre alla mia vista tutta una sfilata di alberghi e Grand-Hotel dall’architettura imponente: un’ostentata esibizione del lusso, come non vi assistevo dai tempi delle mie passeggiate parigine. E, d’altronde, non è un caso se questi mostri di storia e d’eleganza s’accompagnano tutti a roboanti nomi d’Oltralpe, come a tendere un filo che, sotto l’egida di una ricchezza comune, unisce due culture e due nazioni.
Lungo la promenade che porta all’imbarcadero, continuo a pensare alle insegne vistose, ai ricami in stile liberty, ai cortili spaziosi e alle fontane lussureggianti, ai raffinati balconcini dinanzi alle finestre chiuse, a tutto quello sfarzo esibito senza alcun filtro.
Ciò che mi attende a piazzale Lido, però, impone di voltare subito pagina, come se stessi sfogliando un qualche catalogo d’abbigliamento e i capi più interessanti venissero dopo le prime pagine. C’è molto su cui soffermarsi, rimbalzando sulle acque mosse dai motoscafi: quel che si vede sullo sfondo – le colline prima, le vette alpine poi – sembra voler fare da perfetto ornamento a ciò che appare in primo piano, in una composizione che anche a un occhio non fotografico appare perfettamente bilanciata.
Tre isolette di dimensioni simili, ma dall’aspetto che cambia per uno o più particolari: la prima, più lontana, è un puntino verde che spicca nell’azzurro opaco del lago, e nel suo centro spunta una villa di pregevole fattura con piccole finestre e un’ampia facciata; la seconda, più vicina, esibisce una serie di terrazze sulle quali cresce un giardino d’altri tempi e, dietro, si staglia la sagoma di un magnifico palazzo; la terza, infine, si fa largo oltre gli scogli, mettendo in mostra un grazioso campanile e tutta una serie di casette che rivelano la vivacità del luogo. Sono le Isole Borromee, spettacolare esempio di che cosa possa fare l’uomo dotato di potere e di denaro: la prima e la seconda, note rispettivamente come Isola Madre e Isola Bella, sono tuttora di proprietà della famiglia Borromeo, mentre la terza, l’Isola dei Pescatori, è un centro abitato vero e proprio.
L’ISOLA MADRE, UNA DELIZIA PER I SENSI
Rispettando i dettami del nostro capitano, l’ordine di visita impone di approdare dapprima sulla più grande delle tre isole. Non che la diversità di grandezza sia un fattore determinante, ma perlomeno aiuta a comprendere perché si chiami Isola Madre.
Qui i Borromeo vi stabilirono le prime coltivazioni e le prime fondamenta di una villa gentilizia agli albori del Cinquecento, per poi ampliare costruzioni e giardini entro la fine del secolo. I lavori furono portati avanti grazie a un importante numero di solerti giardinieri, fedeli alla casata, che ebbero cura degli spazi attorno al palazzo rinascimentale a partire dal meraviglioso parco che lo circonda.

Se, oggi, camminando a fil di lago, rimaniamo incantati più dai giardini che dalla villa, il merito va soprattutto a chi ha saputo mantenere in vita un siffatto esempio di eleganza. Trovandoci di fronte a un’originale interpretazione del classico “giardino all’inglese”, non dobbiamo stupirci nell’incontrare specie floreali per noi inconsuete. Nell’esplosione di colori che anima gli esterni dell’isola, spiccano tulipani d’un rosso vivissimo, margherite, violette, azalee, sorvegliati dai fusti possenti delle querce, delle magnolie, delle palme e dei bambù dal Lontano Oriente. L’incredibile varietà cromatica è difficile da catturare in parole e, ugualmente, solo una mano e un occhio sapienti possono riprodurne l’originaria bellezza in fotografia.
Mi piacerebbe aver più confidenza con quel mistero che sono i colori della natura, non fosse altro per riuscire a carpirne l’intensità come uno spettatore ordinario. Ahimè, dovendo fare i conti con una scarsa capacità di discriminazione, tocca proseguire oltre e concentrarsi su qualcosa che anche una vista deficitaria può cogliere.
Tra i rovi, le felci e le siepi magnificamente ricamate, vedo zampettare uno strano uccello dal piumaggio candido e morbido: è uno splendido esemplare maschio di fagiano argentato, con le bianche penne della coda leggermente striate di nero e la piccola cresta che ricade sulla nuca. Si aggira quieto in cerca di cibo, noncurante dei tanti visitatori che cercano la posizione giusta per immortalarlo. L’attenzione di tutti, però, si sposta immediatamente altrove: in mezzo a una radura erbosa, un grosso pavone indiano si sta esibendo nella sua tipica ruota, mostrando i mille occhi che spuntano tra le sue lunghe penne, a ribadire il suo ruolo di maschio dominante e a concedersi in tutto il suo splendore agli scatti dei turisti.
Il lusso della fauna e della flora ci introduce a un altro tipo di sfarzo: quello artificiale e costruito dell’architettura e dell’arredamento cinquecenteschi. Entrando nel palazzo, infatti, scopro fin da subito quali devono essere stati le passioni e gli interessi della famiglia: in primo luogo la predilezione per l’arte, che si evince dai numerosi ritratti appesi sulle pareti; in seconda battuta, una certa affinità con il gioco e l’intrattenimento, come testimoniano la collezione di bambole, giocattoli e le tre stanze dedicate al teatro di marionette (in tre versioni: sacro, macabro e cavalleresco). Ancor più dei lussuosi letti a baldacchino, dei mobili in legno intarsiato, degli affreschi e degli arazzi, è proprio questa componente giocosa che mi colpisce, forse perché nelle regge e nei palazzi storici ho sempre trovato tutto un po’ troppo serio e scoprire che anche illustri aristocratici in tiro sapevano come divertirsi mi fa sorridere.
SOMIGLIANZE E DIFFERENZE: PESCATORI
Nella botte piccola c’è il vino buono, dice il proverbio. E l’Isola dei Pescatori, nella sua modesta estensione, mostra tutta la verità della vox populi.
Appena sceso dal motoscafo, mi trovo catapultato in uno scenario completamente diverso dal precedente. Qui non c’è spazio per una silente contemplazione dell’arte e della natura. Qui si tratta di farsi largo in stradine strette cercando di non urtare gruppi di turisti che scorrono a fiotti sul lungolago. L’isoletta, in questo senso, è tutto un pullulare impazzito di persone alla ricerca di un posto all’ombra dove ristorarsi e concedersi un attimo di relax.
Questo mi fa pensare a luoghi a me cari, come la vicina Montisola nel bel mezzo del Lago d’Iseo, anch’essa una concentrazione di casette, ristorantini e negozi acchiappa-turisti. Passeggiando tranquillamente lungo i vialetti che si aprono tra le vecchie abitazioni, mi soffermo proprio sui tratti di somiglianza tra le due isole: al netto della sostanziale differenza di dimensioni e di sviluppo in altitudine, va detto che molto di quello che trovo qui sento di averlo già visto nei minuscoli borghi di Carzano e di Peschiera Maraglio. Gli stessi colori, lo stesso trambusto, le stesse viuzze, il tutto trasportato in un’atmosfera e in uno scenario prealpini.
Una volta superato il centro storico con la sua chiesetta e oltrepassati, senza colpo subire, i tanti ristorantini con vista lago e menù a base di pesce, non c’è molto da dire su quest’isolotto. Se non che la spiaggetta, di fianco al molo, offre una posizione privilegiata da cui osservare i contorni e le forme della prossima destinazione.
[continua nella seconda parte]