Premessa del traduttore
Il seguente brano, il cui titolo originale è The Ever-Living Ones, è tratto da una raccolta di miti e leggende della tradizione celtica, curata dallo scrittore britannico Peter Berresford Ellis (Coventry, 1943). La miscellanea riunisce alcuni tra i motivi più affascinanti di un corpus mitologico antichissimo che attraversa la storia millenaria di paesi come Irlanda, Scozia, Galles, Isola di Man, Cornovaglia e Bretagna. Il volume è stata pubblicato per la prima volta nel 1999 dall’editore londinese Robinson con il titolo di The Chronicles of the Celts. Nel 2008, la raccolta è stata ampliata e pubblicata da Running Press Book Publishers con il nuovo titolo di The Mammoth Book of Celtic Myths and Legends.
Nello specifico, il brano, di natura cosmogonica e teogonica, narra l’origine del mondo e di alcune divinità del pantheon celtico, nonché la storia dell’arrivo degli dei a Inisfáil, l’Isola del Destino, l’antica terra d’Irlanda.
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IL MITO DEGLI IMMORTALI
(traduzione a cura di Manuel Pezzali)
Era il tempo del caos primordiale: un tempo in cui la Terra era nuova e indefinita. Aridi deserti e neri vulcani gorgoglianti, ricoperti di vorticose nubi di gas, sfregiavano il volto cupo del mondo appena nato. Era ancora il tempo del grande vuoto.
Poi, in quell’oblio, dai cieli opachi e scuri scaturì un ruscelletto d’acqua. Prima una goccia, poi un’altra e un’altra ancora, finché un poderoso torrente non si riversò sulla terra. Le divine acque scesero dal cielo, bagnarono il suolo arido e raffreddarono i vulcani, che si trasformarono in grigie montagne di granito, e la vita iniziò a fiorire su tutta la Terra. I cieli tenebrosi e arrossati divennero luminosi e azzurri.
Dal terreno in ombra crebbe un albero alto e forte. Danu – l’acqua divina che veniva dai cieli – nutrì e si prese cura di questo grande albero, che divenne la sacra quercia nota con il nome di Bíle. Dall’unione di Danu e Bíle nacquero due enormi ghiande. La prima conteneva un seme maschile, da cui sorse Dagda, il “Dio Buono”. Il secondo seme era femminile e da questo emerse Brigantu, o Brigid “l’Altissima”. E Dagda e Brigid si guardarono e si meravigliarono, poiché era loro compito strappare l’ordine dal caos primordiale e popolare la Terra con i Figli di Danu, la Dea Madre, le cui acque divine avevano dato loro la vita.
Così lì, tra le acque divine di Danu, da dove quei torrenti s’erano alzati e avevano inondato le ora verdi e fertili vallate della Terra scorrendo verso est e il mare lontano, si stabilirono Dagda e Brigid. E chiamarono quel fiume che correva a est con il nome della Dea Madre – Danuvius – e i figli di lei ancora oggi lo conoscono come il possente Danubio. Ed essi costruirono quattro lucenti città sulle sue ampie sponde, dove i Figli di Danu avrebbero vissuto e prosperato.
Le quattro città erano Falias, Gorias, Finias e Murias. Dagda ne divenne padre, perciò gli uomini lo chiamano “Padre degli Dei”. E Brigid divenne saggia, eccellente nel sapere e molto assimilò dalla grande Danu e da Bíle, la sacra quercia. Era venerata come la madre dei guaritori, degli artigiani e dei poeti; infatti, eccelleva in qualsiasi tipo di conoscenza. Ella mostrò ai suoi figli che la vera saggezza poteva essere raccolta solo ai piedi di Danu, la Dea Madre, e poteva essere trovata solo sulla riva del fiume.
Coloro che raccolsero tale conoscenza veneravano anche Bíle, la sacra quercia. Poiché non era loro permesso di pronunciare il suo santo nome, essi chiamarono la quercia draoi e si diceva che chi fosse cresciuto con tale conoscenza possedesse il sapere (vid) della quercia (dru), e così furono conosciuti come Druidi.
Il sapere dei Figli di Danu crebbe e ognuna delle quattro grandi città prosperò. A Falias era conservata una pietra sacra, chiamata Lia Fáil o Pietra del Destino, la quale, allorquando un giusto sovrano avesse posto piede su di essa, avrebbe gridato di gioia; a Gorias, dove dimorava Urias il Nobile, possedevano una poderosa spada chiamata “Vendicatrice”, che fu forgiata prima ancora del tempo degli dei, e che Urias donò a Lugh Lámhfada, il quale divenne il più grande guerriero tra gli dei; a Finias avevano una lancia magica, chiamata “Giavellotto Rosso”, che, una volta scagliata, avrebbe trovato il suo nemico in qualsiasi posto si fosse nascosto; e a Murias si trovava il “Calderone dell’Abbondanza”, dal quale Dagda avrebbe potuto attingere per sfamare intere nazioni e ciò non sarebbe comunque bastato a svuotarlo.
Per molti eoni, i Figli di Danu crebbero e prosperarono nelle loro meravigliose città. Poi, un giorno, Dagda, padre degli Dei, e Brigid l’Altissima chiamarono i propri figli a sé.
“Avete indugiato qui abbastanza a lungo. La Terra deve essere popolata e ha bisogno della vostra saggezza per consigliare e indirizzare i suoi abitanti, così che questi possano vivere vite virtuose e meritevoli. Nostra Madre, Danu, vi ha ordinato di spostarvi là dove il sole luminoso svanisce ogni sera.”
“Perché dovremmo andare là?” domandò Nuada, il figlio prediletto di Dagda. “Perché è il vostro destino”, rispose Brigid, “e tu, Nuada, dovrai condurre i tuoi fratelli e le tue sorelle e i loro bambini, e la terra a cui approderai sarà chiamata Inisfáil, l’Isola del Destino. Là tu dimorerai finché il tuo destino non sarà compiuto.”
“Se è il nostro destino”, disse Ogma, un altro dei figli di Dagda, “allora dobbiamo accettarlo.” Ogma era il più bello dei figli di Danu. Dai suoi lunghi capelli ricci, splendevano i raggi del sole ed era chiamato Ogma grian-aineacg, “dal viso solare”.
Egli possedeva il dono delle parole al miele, della poesia e delle lingue, e fu lui a escogitare quel modo di scrivere per mezzo di una calligrafia, che, in suo onore, fu chiamata Ogham.
Brigid sorrise ai suoi figli impazienti. “Mi è concesso di dirvi una parola d’avvertimento. Quando raggiungerete Inisfáil, troverete altre persone che reclameranno l’Isola del Destino come proprio possesso. Sono i Figli di Domnu, sorella di nostra madre Danu. Ma state attenti, giacché Domnu non è come Danu. Ogni sorella è l’opposto dell’altra, proprio come l’inverno è l’opposto dell’estate.”
“Allora,” disse Nuada, “non dovremmo prendere qualcosa con cui difenderci, nel caso in cui i Figli di Domnu ci attacchino per il controllo di Inisfáil?”.
Dagda li guardò teneramente e disse: “Potete prendere i quattro grandi tesori delle città di Falias, Gorias, Finias e Murias.”
E i Figli di Danu presero i tesori e andarono sulle montagne che si affacciavano sulle sorgenti del Danubio, le divine acque dei cieli, e risalirono in una grande nube che li portò a ovest, verso Inisfáil, l’Isola del Destino. E tra di loro c’erano tre bellissime giovani sorelle, che erano le mogli dei figli di Ogma. I loro nomi erano Banba, Fótla ed Éire, e ognuna delle sorelle desiderava che quella nuova terra portasse, un giorno, il proprio nome.
La notte avvolse il suo scuro mantello su Magh Tuireadh, la Piana delle Torri, che si estendeva nella parte occidentale della terra di Inisfáil. Su ogni lato della grande piana, separato dal fiume Unius, miriadi di piccoli fuochi risplendevano nell’oscurità. Due eserciti si erano riuniti per combattere.
Sette anni erano passati da quando i Figli di Danu erano approdati con la loro nuvola sulle sponde dell’Isola del Destino. All’inizio combatterono contro il popolo dei Firbolg, che aveva contestato il loro diritto di governare sull’isola. Li incontrarono al passo di Balgatan e la battaglia andò avanti per quattro giorni. E in quel conflitto si fece avanti un campione dei Firbolg, Sreng, il quale sfidò Nuada, il capo dei Figli di Danu, a singolar tenzone. Così forte e possente era Sreng che, con un solo colpo della sua grande spada, riuscì a tagliare la mano destra di Nuada. Tuttavia i Firbolg e il loro re, Eochaidh, furono sconfitti e dispersi.
Dian Cécht, dio di tutti i guaritori, andò da Nuada dopo la battaglia e gli forgiò una mano d’argento, così forte e flessibile che pareva ben poco diversa dalla vera mano. Così Nuada ricevette il suo nome completo, Nuada Argetlámh, Mano d’Argento. Siccome era monco, gli altri figli di Danu dovettero scegliere un altro condottiero, poiché Brigid aveva detto loro che nessuno che avesse difetti avrebbe dovuto governarli.
Nel nominare il loro nuovo leader, fecero una scelta disastrosa. Come atto di riconciliazione con i figli di Domnu, scelsero Bres, figlio di Elatha, re dei Figli di Domnu, anche conosciuti come Fomorii, o “coloro che dimorano sotto i mari”. E per rafforzare ulteriormente l’alleanza, Dian Cécht sposò Ethne, la figlia del primo guerriero Fomorii, Balor Occhio Malvagio. E la condizione fu che, se Bres avesse commesso un dispiacere ai figli di Danu, allora costui avrebbe dovuto abdicare e andarsene pacificamente.
Quegli anni furono segnati da un periodo di lotte. Bres, essendo un Fomorii, si rifiutò di mantenere la sua parola e iniziò a tiranneggiare sui figli di Danu. Per un po’, Bres e i figli di Domnu, i figli dell’ombra e del male, dominarono sulla terra, e i figli di Danu, figli della luce e del bene, furono senza difese e ridotti in schiavitù.
Poi finalmente, Miach, figlio di Dian Cécht, aiutato dalla sorella, la bella Airmid, forgiò una nuova mano in carne e ossa per Nuada. La nuova mano rimpiazzò quella d’argento e allora, senza più alcun difetto, Nuada poté rivendicare il comando dei figli di Danu. Dian Cécht fu così geloso dell’impresa del figlio che uccise Miach. Ma questa è un’altra storia.
Nuada rincorse Bres fino alla terra dei Fomorii, dove quest’ultimo chiese a Elatha, suo padre, di fornirgli un esercito per punire i figli di Danu. Così, sulla piana, dove antichi megaliti se ne stavano fermi, quasi a spingere il nero granito verso il cielo – Magh Tuireadh, la piana delle Torri – nella sera della festa del Samhain (il 31 Ottobre), i Figli di Danu affrontarono i Figli di Domnu in battaglia.
All’alba, lo scontro ebbe inizio. Combattimenti scoppiarono lungo tutta la linea mentre Nuada guidava i suoi guerrieri, uomini e donne, contro i soldati di Bres e i Fomorii. Sul campo di battaglia, Mórrígán, la Grande Regina delle Battaglie, con le sue sorelle Badh il Corvo, Nemain la Velenosa e Fea l’Odiosa, si precipitarono qui e là con le loro urla spaventose che spinsero i mortali alla disperazione e al trapasso.
Mentre il tempo passava, Indech, un guerriero Fomorii, si avvicinò a Bres, e gli fece notare che ogni volta che uno dei Figli di Danu veniva ucciso, o le sue armi spezzate e distrutte, questo veniva portato via dal campo e, poco dopo, ritornava vivo e vegeto e con le armi intatte. Bres convocò suo figlio, Ruadan, e gli ordinò di scoprire la causa di quel continuo rifornimento di armi. E convocò anche il figlio di Indech, un guerriero di nome Octriallach, perché scoprisse come i Figli di Danu potessero risorgere dalla morte.
Vestendosi alla maniera di uno dei Figli di Danu, Ruadan si spinse oltre le linee dei guerrieri e si imbatté in Goibhniu, dio dei fabbri, il quale aveva costruito una fucina sulla Piana delle Torri. Insieme a Goibhniu c’erano Luchtainé, dio dei falegnami, e Credné, dio dei lavoratori del bronzo. Non appena un’arma spezzata giungeva nelle mani di Goibhniu, il dio fabbro dava tre colpi di martello per forgiare la testa. Luchtainé dava al legno tre colpi della sua ascia per modellare l’albero. Infine Credné univa l’albero e la testa con i suoi chiodi di bronzo così rapidamente che non c’era bisogno di altri colpi di martello.
Ruadan tornò da suo padre e gli disse ciò che aveva appena visto. Pazzo di rabbia, Bres ordinò a suo figlio di uccidere Goibhniu.
Intanto, Octriallach aveva trovato una sorgente magica dall’altra parte della piana delle Torri, e qui stava Dian Cécht, dio della medicina, con la figlia Airmid al suo fianco. Ogni volta che uno dei figli di Danu era ucciso, questo veniva portato alla fonte e Dian Cécht e sua figlia immergevano il corpo nella sorgente e questo risaliva di nuovo in vita. Pazzo di rabbia, Bres ordinò a Octriallach di distruggere la sorgente curativa.
Ruadan fece ritorno alla fucina e chiese un giavellotto a Goibhniu, che glielo diede senza sospettare nulla, pensando che Ruadan fosse uno dei figli di Danu. Il giavellotto non era ancora nella sua mano che Ruadan si girò e lo lanciò contro Goibhniu. L’arma passò attraverso il corpo del dio fabbro. Ferito mortalmente, Goibhniu raccolse la lancia e la scagliò ferendo Ruadan, che strisciò di nuovo da suo padre e morì ai suoi piedi. I Fomorii disposero un grande caoine, un lamento funebre, il primo mai conosciuto sull’isola del Destino.
Anche Goibhniu strisciò via e andò alla fonte, dove Dian Cécht e Airmid lo immersero, e lui risalì di nuovo forte e in salute. Quella notte, tuttavia, Octriallach, figlio di Indech, e molti dei suoi compagni, giunsero alla sorgente e ognuno di loro prese una grossa pietra dal letto di un fiume vicino e la gettò nella sorgente fino a riempirla completamente. Così le acque curative furono perdute.
Bres, soddisfatto della sopraggiunta mortalità dei figli di Danu, e furioso per la morte del figlio, decise che andava combattuta una battaglia campale. La mattina successiva, lance, arpioni e spade cozzarono contro fibbie e scudi. Il fischio dei dardi e il suono delle frecce e le grida dei guerrieri rimbombavano come tuoni fragorosi per tutta la piana delle Torri. Il fiume Unius, che tagliava in due la piana, fermò il suo corso, tanto era pieno di cadaveri. La piana era rossa di sangue, tanto era cruenta la battaglia.
Indech dei Fomorii morì per mano di Ogma. E Indech non fu né il primo né l’ultimo dei comandanti dei Fomorii ad assaggiare l’acciaio dei figli di Danu. Né i figli di Danu uscirono dalla battaglia illesi.
Sul campo di battaglia giunse Balor Occhio Malvagio, figlio di Buarainench, il più formidabile dei campioni Fomorii. Costui aveva un solo enorme occhio, il cui sguardo era così maligno da distruggere chiunque lo incontrasse. Così grande e straordinario era quell’occhio che ci volevano nove servitori, con degli uncini, per sollevare la possente palpebra di Balor.
Accadde in quel fatidico giorno di battaglia che Balor s’imbattesse in Nuada Mano D’Argento, il capo dei figli di Danu, e dura e feroce fu la loro lotta. Tuttavia, alla fine, dopo che gli scudi furono distrutti, le lance piegate e le spade fatte a pezzi, fu il sangue di Nuada a scorrere in un rivolo senza fine sulla terra dell’isola del Destino. E non contento del massacro appena compiuto, Balor si rivolse a una delle bellissime mogli di Nuada, Macha, la personificazione della Battaglia, dea guerriera; e uccise anche lei. E questa volta Dian Cécht non poté far nulla per riportarla in vita.
Alla morte del loro condottiero, i figli di Danu vacillarono e caddero in preda al terrore.
Fu allora che Lugh Lámhfada, Lugh Lungobraccio, arrivò sul campo di battaglia. Ora, Lugh era il figlio di Cian, che significa “Persistente”, che a sua volta era figlio di Cainte, il dio della parola. Ora, il consiglio dei figli di Danu aveva proibito che Lugh partecipasse alla battaglia, perché era troppo saggio e si pensava che la sua vita fosse troppo preziosa, e che la sua saggezza servisse all’umanità.
Infatti, Lugh era così saggio che Nuada lo aveva lasciato come governatore dei figli di Danu per tredici giorni, affinché potesse ricevere la sua saggezza. Perciò i figli di Danu lo avevano imprigionato durante la battaglia, per la sua stessa sicurezza, con nove guerrieri a sorvegliarlo. Ma alla notizia che Nuada era stato ucciso, Lugh fuggì dalla prigione e dalle guardie e, saltato su un carretto, si affrettò per unirsi ai suoi fratelli e alle sue sorelle sulla piana delle Torri.
Bres troneggiava con i suoi guerrieri Fomorii quando vide una grande luce a ovest.
“Mi chiedo se il sole stia sorgendo a ovest oggi”, borbottò grattandosi la testa. Uno degli sciamani Fomorii si avvicinò a Bres, tremando. “Non è il sole, o potente Bres. La luce proviene dal viso di Lugh Lámhfada! Quello è il suo splendore.”
Lugh, con le armi inguainate, guidò il suo carro oltre le linee dei figli di Danu; proseguì dritto fino alle compatte linee dei guerrieri Fomorii. “Dov’è Balor?” urlò. “Lasciate che lui, che si crede un grande guerriero, venga avanti e conosca la verità!”.
Le linee dei Fomorii si separarono e la grande figura di Balor, seduto su un’enorme sedia, apparve. Il suo possente occhio era chiuso.
La sfida di Lugh risuonò di nuovo. Questa volta Balor la sentì e disse ai suoi servi: “Alzate la mia palpebra, così che io possa fissare questo piccolo chiacchierone”.
I servitori iniziarono ad alzare la palpebra di Balor con un uncino, e nel farlo si mantenevano ben al di fuori del campo visivo, perché se quell’occhio fosse caduto su uno di loro lo sventurato sarebbe morto all’istante.
Lugh era armato di fionda e in essa aveva posto un tathlum, un colpo fatto di sangue mescolato alla sabbia del mar di Armorian. Non appena la palpebra si sollevò, Lugh scagliò il colpo dritto nell’occhio. Lo prese in pieno, attraversò il cervello e finì fuori dalla testa di Balor. L’occhio del grande campione Fomorii fu abbattuto e cadde al suolo. Nel suo morente luccichio, per tre volte nove compagnie di soldati Fomorii furono distrutte, poiché incrociarono il suo sguardo malevolo.
Balor cadde urlante al suolo, completamente cieco. Una grande angoscia ricadde sui Fomorii.
Allora Lugh alzò la sua spada, e Mórrígán iniziò un peana di vittoria, “I Re sorgono dalla battaglia …!” E così i figli di Danu ripresero coraggio e, riecheggiando la canzone, iniziarono ad avanzare. Grande fu il massacro mentre spingevano indietro i figli di Domnu. Si racconta che furono uccisi più Fomorii sulla piana delle Torri di quante stelle ci siano nel cielo, o granelli di sabbia sulla riva del mare, o fiocchi di neve in inverno.
E Lugh sopraggiunse su Bres, che stava scappando dalla battaglia per avere salva la vita.
“Risparmia la mia vita, Lugh, grande conquistatore”, gridò il figlio di Elatha, cadendo in ginocchio, giacché non aveva più la forza né lo spirito per combattere. “Risparmiala, e io pagherò qualsiasi riscatto tu chieda.”
“Quale riscatto?” domandò Lugh, la sua spada puntata alla gola del capo Fomorii.
“Ti assicuro che non ci sarà mancanza di latte dalle vacche di questa terra,” offrì Bres.
Lugh allora chiamò a sé i figli di Danu. “Che ci sarà di buono se Bres non potrà prolungare la vita delle vacche?” domandarono loro.
Bres non poteva garantire vite più lunghe perciò propose, “Se la mia vita sarà risparmiata, ogni raccolto di grano su Inisfáil sarà un buon raccolto.”
“Abbiamo avuto buoni raccolti a sufficienza. Non abbiamo bisogno di altre garanzie.”
Alla fine, Bres acconsentì a istruire i figli di Danu su come arare, seminare e raccogliere il grano al momento giusto e per questa conoscenza, che loro non possedevano, gli risparmiarono la vita.
E quando la battaglia cessò, quando i Fomorii furono respinti fino alle loro fortezze sottomarine, e accettarono il diritto dei figli di Danu a vivere in pace sull’isola del Destino e a governarla come dei e dee di bontà e luce, Mórrígán salì su tutte le cime delle più alte montagne dell’isola e su ogni vetta annunciò la vittoria degli dei e delle dee della luce e del bene. E, trionfante, cantò un peana alla Dea Madre, Danu.
La pace monta sui cieli
Le acque divine discendono sulla terra
E fruttificano le nostre vite
La terra giace sotto i cieli
Noi siamo la Terra ora
E tutti sono forti …
E mentre Danu sorrideva alla vittoria dei suoi figli, sua sorella Domnu, dalle profondità della terra, si accigliò e scelse la dea Badh il Corvo come sua bocca per pronunciare una profezia contro Danu e i suoi figli.
“Ogni vita è passeggera. Nemmeno i tuoi figli sono immortali, sorella. Verrà il tempo in cui saranno sconfitti. Verrà il tempo in cui nessuno vorrà dei e dee a propria protezione, in cui sprofonderanno nell’oscurità, proprio come i miei figli sono sprofondati in questo giorno.”
“S’avvicina il tempo in cui le estati di Inisfáil saranno senza fiori, in cui le vacche saranno senza latte, e gli uomini saranno deboli e le donne saranno senza vergogna; i mari saranno senza pesci, gli alberi senza frutti e i vecchi daranno falsi giudizi; i giudici faranno leggi ingiuste e l’onore conterà ben poco e i guerrieri si tradiranno l’un l’altro e diventeranno ladri. Verrà un tempo in cui non ci sarà più nessuna virtù in questo mondo.”
Infatti, arrivò quel tempo in cui i figli di Míl si riversarono sull’isola del Destino e i figli di Danu furono spinti sottoterra, nelle colline, che furono chiamate sídhe, e in quei tumuli dimorarono dei e dee una volta potenti, abbandonati da quello stesso popolo che loro avevano cercato di accudire. I discendenti di Míl, che ancora oggi vivono sull’isola del Destino, chiamarono i figli di Danu aes sídhe, il popolo delle colline, e quando anche la religione di Míl fu dimenticata, quando la religione della Croce rimpiazzò quella del Cerchio, il popolo chiamò gli aes sídhe semplicemente con nomi di fate.
Del più grande degli dei, il vincitore della battaglia sulla piana delle Torri, Lugh Lámhfada, dio di tutto il sapere, patrono delle arti e dei mestieri, il nome è conosciuto ancora oggi. Ma la memoria del grande guerriero, del dio invincibile, è sbiadita ed egli è conosciuto solo come Lugh-cromain, il piccolo gnomo Lugh dei sídhe, relegato al ruolo di artigiano delle fate.
E, poiché anche la lingua nella quale era venerato è scomparsa, tutto ciò che è rimasto del supremo dio dei figli di Danu è la forma distorta di quel nome Lugh-cromain … leprecauno.