Didattica, Italiano L2/LS

Italiano per stranieri: lettura e analisi di un brano da “Il giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani

(In copertina: immagine tratta dal film Il giardino dei Finzi-Contini, diretto da Vittorio De Sica)

La seguente unità di lavoro è riservata a studenti interessati all’apprendimento dell’Italiano come Lingua Seconda o come Lingua Straniera, e, in particolare, all’approfondimento di alcune tematiche ricorrenti nella narrativa contemporanea.
Trattandosi di un’analisi incentrata su un’opera letteraria, si consiglia di sottoporre la presente UdA a un pubblico di studenti le cui competenze non siano inferiori al livello B2 del Quadro Comune Europeo.

CONTESTO

L’autore. Giorgio Bassani: vita e opere

Giorgio Bassani è uno scrittore italiano nato a Bologna nel 1916. Vive a Ferrara fino al 1943, per poi trasferirsi a Roma, dove diventa redattore della rivista di letteratura internazionale Botteghe oscure (1948-60); dal 1958 al 1963 dirige la “Biblioteca di letteratura” dell’editore Feltrinelli, pubblicando, fra l’altro, Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa; è stato vicepresidente della RAI (1964-66) e presidente dell’associazione Italia Nostra (1966-80).
Gran parte della sua narrativa è volta alla raffigurazione della vita ferrarese, e soprattutto della comunità ebraica (cui egli stesso apparteneva) di quella città, durante il fascismo, fino alle persecuzioni razziali, alla guerra e alla Resistenza; raffigurazione che tende a un “classico” rigore espressivo, sorretta da una memoria che non è solo evocativo-elegiaca, ma giudicatrice di dati e di fatti, come nei voll. di racconti Una città di pianura (1940, pubbl. con lo pseudon. di Giacomo Marchi); La passeggiata prima di cena (1953) e Gli ultimi anni di Clelia Trotti (1955), poi confluiti in Cinque storie ferraresi (1956); i romanzi Gli occhiali d’oro (1958) e Il giardino dei Finzi Contini (1962). Nelle opere successive (Dietro la porta, 1964; L’airone, 1968; L’odore del fieno, racconti, 1972), limitando l’elemento ferrarese a sfondi e scorci, e quello ebraico a una sorta di “antefatto” psicologico-morale, Bassani tende ad approfondire il motivo, che è alla radice di tutta la sua tematica, del perenne conflitto tra realtà e illusione, verità ed errore, cui solo la morte dà tregua. Temi e accenti della narrativa ricorrono anche nelle sue raccolte di poesie, d’intonazione ermetica e crepuscolare. Muore a Roma il 13 aprile del 2000 dopo una lunga malattia.

(adattato da treccani.it)

UN BRANO DA “IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI”

Per quanto concerne me personalmente, nei miei rapporti con Alberto e Micòl c’era stato da sempre qualcosa di più intimo. Le occhiate d’intesa, i cenni confidenziali che fratello e sorella mi indirizzavano ogni qualvolta ci incontravamo nei pressi del Guarini, non alludevano che a questo, lo sapevo bene, riguardante noi e soltanto noi. Qualcosa di più intimo. Che cosa, propriamente?     
Si capisce: in primo luogo eravamo ebrei, e ciò in ogni caso sarebbe stato più che sufficiente. Tra noi poteva in pratica non essere successo mai nulla, nemmeno il poco che derivava dall’aver scambiato di tempo in tempo qualche parola. Ma la circostanza che fossimo quelli che eravamo, che almeno due volte all’anno, a Pasqua e a Kippùr, ci presentassimo coi nostri rispettivi genitori e parenti stretti davanti a un certo portone di via Mazzini – e spesso accadeva che dopo averne varcato la soglia tutti assieme, l’atrio successivo, angusto e mezzo al buio, obbligasse i grandi alle scappellate, alle strette di mano, agli inchini ossequiosi che per il resto dell’anno non avevano nessun’altra occasione di scambiarsi – a noi ragazzi non sarebbe occorso niente di più perché ritrovandoci altrove, e soprattutto in presenza di estranei, passasse subito nei nostri occhi l’ombra o il riso di una certa speciale complicità e connivenza.
Che fossimo ebrei, tuttavia, e iscritti nei registri della stessa Comunità israelitica, nel caso nostro contava ancora abbastanza poco. Giacché cosa mai significava la parola «ebreo», in fondo? Che senso potevano avere, per noi, espressioni quali «Comunità» o «Università israelitica», visto che prescindevano completamente dall’esistenza di quell’ulteriore intimità, segreta, apprezzabile nel suo valore soltanto da chi ne era partecipe, derivante dal fatto che le nostre due famiglie, non per scelta, ma in virtù dì una tradizione più antica di ogni possibile memoria, appartenevano al medesimo rito religioso, o meglio alla medesima scuola? Quando ci incontravamo sul portone del Tempio, in genere all’imbrunire, dopo i laboriosi convenevoli scambiati nella penombra del portico finiva quasi sempre che salissimo in gruppo anche le ripide scale che portavano al secondo piano, dove ampia, gremita di popolo misto, echeggiante di suoni d’organo e di canti come una chiesa – e così alta, sui tetti, che in certe sere di maggio, coi finestroni laterali spalancati dalla parte del sole al tramonto, a un dato punto ci si trovava immersi in una specie di nebbia d’oro – c’era la sinagoga italiana. Ebbene soltanto noi, ebrei, d’accordo, ma cresciuti nell’osservanza di un medesimo rito, potevamo renderci davvero conto di quel che volesse dire avere il proprio banco di famiglia nella sinagoga italiana, lassù al secondo piano, invece che al primo, in quella tedesca, così diversa nella sua severa accolta, quasi luterana, di facoltose lobbie borghesi. E c’era dell’altro: perché anche a dare per risaputa al di fuori dell’ambiente strettamente ebraico una sinagoga italiana distinta da una tedesca, con quanto di particolare tale distinzione implicava sul piano sociale e sul piano psicologico, chi, oltre noi, sarebbe stato in grado di fornire precisi ragguagli intorno a «quelli di via Vittoria», tanto per fare un esempio? Con questa frase ci si riferiva di solito ai membri delle quattro o cinque famiglie che avevano il diritto di frequentare la piccola, separata sinagoga levantina, detta anche fanese, situata al terzo piano di una vecchia casa d’abitazione di via Vittoria, ai Da Fano di via Scienze, ai Cohen di  via Gioco del Pallone, ai Levi di piazza Ariostea, ai Levi-Minzi di viale Cavour, e non so a quale altro isolato nucleo famigliare: tutta gente in ogni caso un po’ strana, tipi sempre un tantino ambigui e sfuggenti, per i quali la religione, che a scuola italiana aveva assunto forme di popolarità e teatralità pressoché cattoliche, con riflessi evidenti anche nei caratteri delle persone, per lo più estroversi e ottimisti, molto padani, era rimasta essenzialmente culto da praticare in pochi, in oratori semiclandestini a cui era opportuno dirigersi di notte, e radendo alla spicciolata i vicoli più oscuri e peggio noti del ghetto. No, no, soltanto noi, nati e cresciuti intra muros, potevano sapere, comprendere davvero queste cose: sottilissime, irrilevanti, ma non per ciò meno reali. Gli altri, tutti gli altri, e in primo luogo i miei molto amari compagni quotidiani di studio e di giochi, inutile pensare di erudirli in una materia talmente privata. Povere anime. A questo proposito, non erano da considerarsi che degli esseri semplici e rozzi condannati a vita in fondo a irremeabili abissi di ignoranza, ovvero – come diceva perfino mio padre, sogghignando benigno – dei «negri goìm».
Dunque, quando capitava, salivamo insieme le scale, insieme facevamo il nostro ingresso in sinagoga.

(G. Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, 1962, Feltrinelli, Milano, 2015, pp. 28-30)

COMPRENSIONE

Rispondi alle domande.

  1. In quali occasioni la famiglia del narratore s’incontra con i Finzi-Contini?
  • Qual è la cosa più importante che il narratore ha in comune con Alberto e Micól Finzi-Contini?
  • Che differenza c’era, secondo il narratore, tra una sinagoga italiana e una tedesca?
  • Chi sono “quelli di Via Vittoria”? E perché sono chiamati così?
  • Il narratore cita alcune importanti famiglie ebree della città di Ferrara. Quali?

LESSICO

Nel testo ci sono alcune parole in grassetto. Associale ai sinonimi riportati qui sotto:

ISTRUIRLI                  _________

RICCHE                     _________

RISPETTOSI              _________

INUTILI                      _________

AFFOLLATA             _________

ANALISI

Trova l’errore nelle seguenti frasi (una è corretta) e riscrivile nel modo giusto.

  1. Solo noi potevamo capire che cosa vorrebbe dire essere ebrei in quella città.
  • Sebbene non faccesse alcuna differenza, noi preferivamo incontrarci da soli.
  • Se fossi avuto qualche problema a scuola, mio padre non avrebbe tardato ad arrivare.
  • Noi sapevamo bene che cosa significasse restar soli nel quartiere a una certa ora.
  • Gli dissi che, se avesti guadagnato di più, avrei dato qualcosa alla Comunità israelitica.


    Completa le frasi coniugando il verbo tra parentesi al modo congiuntivo e scegliendo il tempo corretto.
  1. A un certo punto, Alberto mi chiese che cosa ___________ (intendere) fare per la questione del tennis.
  2. Non mi spiego come _________ (fare) Giorgio a vincere la partita così facilmente ieri sera!
  3. Gioco anche io domani, purché ci ________ (essere) anche Alberto!
  4. Se l’____________ (sapere) prima, non sarei andato a scuola questa mattina.
  5. Nonostante _________ (capire) poco di filosofia, hanno sempre preso buoni voti.

OLTRE IL TESTO

Il romanzo di Giorgio Bassani, legato strettamente ai luoghi e alla storia della città di Ferrara, ha ottenuto un grande successo tra i lettori italiani e continua a ottenerlo. Un successo che è stato confermato e ampliato dalla trasposizione della storia sul grande schermo con il film di Vittorio De Sica (Il giardino dei Finzi-Contini, 1970). Guarda il film (puoi aiutarti con i sottotitoli!) e scrivi una tua recensione (max. 200 parole)!

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