Hic et Nunc

Roma andata e ritorno

Avete presente quei film d’azione in cui succede tutto in un giorno? Ma sì, parlo di quelle pellicole intrise di testosterone che hanno fatto la fortuna dei vari Jason Statham, Steven Seagal, Jean-Claude Van Damme e compagnia bella. Ecco, prendete questo leitmotiv hollywoodiano e portatelo in Italia, contestualizzandolo al viaggio nella sua accezione più eroica, ossia l’infinito scontro con le Ferrovie dello Stato.

Sì, perché, nel preciso istante in cui metto piede sul treno ad alta velocità Milano Centrale – Roma Termini, già so che la mia pazienza verrà messa a dura prova dai rallentamenti, dagli imprevisti, dai «ci scusiamo per il disagio», dagli «inconvenienti che non dipendono da [nome della compagnia di trasporti]». Arrivare in orario è peccato mortale. Che figura ci farebbero questi antagonisti, che farebbero invidia ai peggiori villain dei fumetti, se non piazzassero un ritardo di almeno sessanta minuti? Così, per il sadico gusto di veder soffrire il popolo.
Se c’è una cosa che il passato da pendolare mi ha insegnato, è che non si è mai troppo previdenti con treni e ferrovie, perciò, quel giorno, avevo deciso che a Roma ci sarei arrivato con quattro ore di anticipo (che poi saranno tre). Almeno avrei avuto tempo per visitare la città, mi dicevo. Non fosse altro perché non la vedevo dal lontano 2007, dai tempi di una poco sobria gita scolastica.

L’occasione era quella ordinaria di un appuntamento di lavoro, ma in una cornice simile anche il più pressante degli obblighi appare sotto tutta un’altra luce. A conti fatti, avrei dovuto passare circa sei ore nella Capitale, tenuto conto degli impegni. Che esperienza se ne può avere in così poco tempo? Come sintetizzare le storie, le voci, i valori della Città Eterna in 360 minuti?
Ecco allora il motivo della similitudine di partenza. Come nel più trash dei b-movie americani, ho sei ore e una missione: visitare il maggior numero possibile di luoghi iconici di Roma. La mia arma? Una reflex Canon. Le mie munizioni? Tre obiettivi della stessa marca: un grandangolo, un 18-55 standard e un teleobiettivo. Chiudo lo zaino e parte il countdown.

colosseo
Colosseo – ph. Manuel Pezzali

Il sole di mezzogiorno illumina le arcate gloriose e ancora solide del Colosseo. Mentre lo aggiro, cercando l’inquadratura e il punto di vista migliori, mi sorprendo per l’impatto visivo che un luogo tanto celebrato e popolare conserva dopo anni di bombardamento mediatico. Quanti sono i filmati di repertorio e le immagini da cartolina che troviamo sul web e che hanno come protagonista l’immortale Anfiteatro Flavio? Decisamente troppi per essere contati. Eppure, nonostante la nostra memoria visiva sia ormai satura delle forme e delle apparenze del monumento, la sensazione di meraviglia che si prova vedendolo dal vivo è sempre quella del primo incontro. A osservarlo bene ci si chiede perché il tempo non si sia fermato anche per altri luoghi, situazioni, soggetti. Io, per esempio, non mi sarei trovato affatto male all’epoca del panem et circenses. Probabilmente sarei stato un esponente nemmeno troppo in vista della plebe romana, ma almeno avrei vissuto lo splendore dei tempi antichi in prima persona.

Una luce così brillante che dal Colosseo si estende su tutta l’area circostante: dai meravigliosi Fori Imperiali al maestoso Arco di Costantino, dal glorioso Vittoriano (più noto come Altare della Patria) al Campidoglio. E camminando l’impressione è proprio quella di una marcia a ritroso nella storia, fino a raggiungere quell’epoca aurea che decretò Roma caput mundi.

Detto questo, sono convinto che sarebbe cosa poco originale proseguire nell’elogio sperticato delle bellezze della Capitale. Tutti bene o male conoscono la Roma dei libri di scuola e delle agenzie di viaggio.  Al di là di questa idea, per così dire, accademica, va tenuto in considerazione un aspetto ben più significativo.
Nel corso della mia permanenza, ho potuto notare direttamente quegli elementi di criticità che, se da un lato sono quasi inevitabili in una metropoli, dall’altro cozzano con la natura stessa della città. Con questo voglio dire che Roma, prima di essere la Città Eterna, il centro del mondo, la capitale della fede cristiana, è la città delle contraddizioni. Il palcoscenico più appariscente per la lotta tra degrado urbano e qualità della vita cittadina. È un continuo parallelismo che mette a confronto i pro e i contro della nostra storia. È la quintessenza dell’italica incoerenza.

piazza del popolo
Piazza del Popolo – ph. Manuel Pezzali

Ma è possibile che a Roma ci siano solo buche, rifiuti, cantieri da un lato e luoghi storici, monumenti, palazzi dall’altro? Se così fosse ci sarebbe ben poco da dire. Nelle vie della capitale riposano impressioni e momenti che spesso non hanno una forma e che sono difficili da definire.

Roma è il vociare di un’anziana signora che apostrofa il nipote in romanesco, ma è anche il muro imbrattato dagli insulti tra tifoserie rivali. È il profumo irresistibile di bucatini all’amatriciana che arriva dai bistrò e dai ristoranti, ma è anche il fast food e il kebab a due passi da Piazza Barberini.
Roma è la luce subacquea della Fontana di Trevi che, non importa il mese dell’anno, sarà sempre presa d’assalto dai turisti. Il rovescio della medaglia? L’incuria degli stessi.
È il lusso di Piazza di Spagna e di Via Condotti, ma è anche il proliferare dell’abusivismo, la corruzione, la disuguaglianza sociale.
Roma è la scalinata che porta alla Trinità dei Monti, la monumentalità di Piazza del Popolo, l’intensità di Piazza San Pietro, ma è anche una strada di periferia, piena di buche, avvallamenti e spazzatura, è il famigerato cantiere della Linea C della metropolitana. È la triste storia dell’albero di Natale “Spelacchio” e, insieme, la sua rinascita, che oggi l’ha portato a splendere, alto e fiero, nel centro di Piazza Venezia.

Roma è tutto questo e molto di più. La città disimpegnata e snob dipinta da La Grande Bellezza di Sorrentino, l’iconica corsa di Anna Magnani in Roma città aperta di Rossellini, il “core” della Roma di Venditti, la bocca della verità dove Gregory Peck finse di aver perso la mano e Audrey Hepburn per davvero si spaventò a morte. Un teatro vivente, l’unico al mondo, in grado di mostrare un volto romantico, come in La dolce vita di Fellini, e uno squallido come in Suburra di Sollima.

A questo punto, la domanda è una sola. Possibile che tutto questo irriducibile contrasto emerga in appena sei ore? Certamente no, ma quello che posso dire è che, concentrata in un quarto di giornata, Roma è uno shock. Un bombardamento di emozioni senza fine. E anche solo per questo merita ancora il titolo di città più bella d’Italia.

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